Unioni Civili e Coppie di Fatto… cosa cambia con la Legge Cirinnà

Dopo la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale del testo approvato dalla Camera in via definitiva la scorsa settimana (legge 76/2016), la Legge Cirinnà entrerà in vigore ufficialmente il prossimo 5 giugno. Al termine della consueta vacatio legis di 15 giorni.

Da questa data le coppie omosessuali potranno contare su un nuovo istituto, l’unione civile, che permette loro di avere gli stessi diritti previsti per il matrimonio nel codice civile. L’unione civile tra persone dello stesso sesso si sottoscrive di fronte all’ufficiale di stato civile in presenza di due testimoni senza l’obbligo delle pubblicazioni e implica automaticamente (se non diversamente richiesto) il regime della comunione dei beni.

L’Unione Civile viene certificata da un documento che attesta la costituzione dell’unione e che contiene tutti i dati anagrafici, regime patrimoniale, residenza.

La similitudine con il matrimonio emerge anche per la regolazione del regime giuridico ovvero diritti e doveri reciproci tra coniugi, figli, residenza, concorso negli oneri, abusi familiari, interdizione, scioglimento dell’unione: il ddl prevede infatti la completa applicazione degli articoli del codice civile previsti per le coppie sposate.

In caso di decesso di una delle parti dell’unione civile si applica il regime della successione ereditaria, se  prestatore di lavoro, andranno corrisposte al partner sia l’indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.). 

Oltre alle unioni civili tra persone dello stesso sesso il la legge Cirinnà disciplina anche le coppie di fatto. Precisando che vengono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. La convivenza di fatto può riguardare sia le coppie etero che omosessuali e consiste una forma di tutela più debole rispetto al matrimonio o all’unione civile.

Il primo passaggio per “istituzionalizzare” la convivenza è la richiesta di iscrizione all’anagrafe del Comune dove si intende fissare la propria residenza da parte di uno dei due conviventi.

Vengono estesi ai conviventi di fatto solo alcune prerogative spettanti ai coniugi, come i diritti previsti dall’ordinamento penitenziario, del diritto di visita e di accesso ai dati personali in ambito sanitario; alla facoltà di designare il partner come rappresentante per l’assunzione di decisioni in materia di salute e per le scelte sulla donazione di organi; i diritti inerenti la casa di abitazione; le facoltà riconosciute in materia interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno; del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito.

I conviventi possono però decidere di regolare i reciproci rapporti economici e patrimoniali e di optare per la comunione dei beni con un contratto di convivenza. Per la sottoscrizione o l’eventuale modifica o risoluzione, è necessaria la forma scritta e l’atto deve essere predisposto con l’assistenza di un professionista (avvocato o notaio) nella forma di atto pubblico o di scrittura privata. Il contratto, per legge, non deve essere sottoposto a termini o vincolato al rispetto di particolari condizioni.

Il contratto di convivenza si risolve in caso di morte; di recesso unilaterale o di accordo tra le parti; in caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un terzo.

Alla cessazione della convivenza di fatto potrà conseguire il diritto agli alimenti in capo ad uno dei due partner. Tale diritto deve essere affermato da un giudice ove il convivente versi in stato di bisogno e non sia non è in grado di provvedere al proprio mantenimento (ex art. 438 c.c.). Spetta allo stesso giudice determinare la misura degli alimenti (quella prevista dal codice civile) nonché la durata dell’obbligo alimentare in proporzione alla durata della convivenza. 

 

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